Banz cult

DI JACK SPARRA

Banz Cult del numero 14: Colle der Fomento!!



A distanza di vent'anni si può affermare senza molte possibilità di errore che gli anni fra il 1995 e il 1997 segnarono il definitivo decollo della cultura hip hop in Italia - e, lo ammetto, è stato il periodo in cui mi ci sono avvicinato pure io.
Dopo il botto di SXM dei Sangue Misto venne data alle stampe senza quasi soluzione di continuità una serie di dischi divenuti oramai dei classici del rap nostrano, fino al successo nazionale di gruppi come Articolo 31, Sottotono e lo stesso Neffa, che a prescindere da qualsiasi giudizio a priori o a posteriori ebbero l'innegabile merito di far accostare al genere musicale, con tutto ciò che ci ruotava attorno, un vero e proprio esercito di ragazzi, perlopiù studenti delle superiori.
Erano i tempi in cui ogni due mesi ci si riuniva a decine per leggere le novità segnalate su Aelle, rivista autoprodotta che rappresentò per lungo tempo la fonte primaria di informazioni sulla scena italiana, mentre ogni pomeriggio, finita la scuola, ci si sintonizzava sulle frequenze di Radio Deejay, dove Albertino - quell'Albertino, esatto - selezionava le migliori hit hip hop del momento.
Il programma si chiamava OneTwoOneTwo, e qualsiasi b-boy o post b-boy trentenne può frugare in soffitta e riesumare le sue vecchie TDK con le registrazioni lo-fi di qualche puntata particolarmente significativa.
Fra queste, possiamo tranquillamente annoverare quella in cui il Colle Der Fomento presentò il suo primo album, "Odio Pieno". Il gruppo era inizialmente composto dai rappers Danno e La Beffa (che cambiò poi il suo streetname in Masito) e dal Dj, mentore e produttore IceOne. "Odio Pieno" è stato un manifesto. Un manifesto della scuola romana, della sua genuinità, della volontà di non scendere in nessun modo a compromessi, dello scegliere di rappresentare solo ed esclusivamente sé stessi, nel modo più diretto possibile, con ogni mezzo necessario.
In due parole: solo hardcore.
Definire cupi i beats di IceOne è un mero eufemismo, coi loro breaks tagliati da oscuri vinili deep funk e i frammenti di samples provenienti dal soul più classico o dai meandri di colonne sonore di film horror anni '70.
I due mc's si combinano in modo speculare, forse in pochi dischi di hip hop italiano si può ritrovare un amalgama così coerente fra le diverse strofe, nello spaziare del Danno tra rime da battaglia e il suo lato oscuro, e la verve e il modo di scrivere unico del suo partner in crime La Beffa - aggiungiamo pure, per dovere di cronaca, che al momento di scrivere l’album i due erano appena ventenni.
Rispetto e amore per le quattro arti mantenendo intatta la propria individualità ("Io non sono Zulu, so' de Roma"), un background culturale che oscilla tra una componente nerd, vedi i continui riferimenti ai Comics americani e a Star Wars, e una naturale attitudine di strada, che si manifesta lasciando libero spazio sia alla caciara pura e semplice che ad una componente sociale fortemente interiorizzata, di matrice differente da quella delle posse, ma forse per questo ancora più credibile e reale (ascoltare "Cinque a uno" per credere).
Sono questi gli ingredienti che rendono "Odio Pieno" un classico già dalla sua uscita, proiettando il Colle fra i principali gruppi della nuova scuola italiana, complice il suo innegabile impatto sul palco ogniqualvolta ci fosse il bisogno di lasciare la propria impronta alle jam e alle convention.

L’avvento del trio fa sì che il movimento italiano conferisca finalmente alla scena capitolina la giusta attenzione che meritava, anche se, rovescio della medaglia, ogni rapper romano dovrà giocoforza, da lì in poi, pagare dazio allo stile, al carisma e a quell’aura di intoccabilità che circonda il gruppo. In particolare, proprio da quel disco, partecipando alla traccia “L’attacco dei Funkadelici Quattro”, comincerà la salita alla ribalta di un artista che nel giro di un paio di anni farà il salto dimensionale da icona dell’underground a fenomeno nazionalpopolare: Tommaso Zanello alias Piotta.
Passano tre anni da quel favoloso 1996, e i tre pubblicano il tanto atteso secondo album, “Scienza Doppia H”. Curiosamente, come il primo era arrivato in un contesto di generale entusiasmo attorno all’hip hop italiano, questo cala dall’alto su un clima sempre più discendente, come se la grossa sbornia – di numeri e di seguito – fosse ormai giunta alla fase hangover, e così infatti fu, del resto. La situazione del rap italiano rimarrà praticamente linea piatta per qualche anno: poche uscite, rare comparsate radiofoniche, e tutto può benissimo sintetizzarsi con la scelta di Neffa di smettere di rappare per intraprendere un percorso artistico del tutto inaspettato.

Qualche anno dopo, sulla scia del successo mondiale di Eminem, arriveranno Fabri Fibra, i Club Dogo e il Truceklan a dare nuova linfa alla scena, confermando la ciclicità del genere.

Tornando ai nostri, se analizziamo “Scienza Doppia H” notiamo innanzitutto due cambiamenti importanti.
La trovata maturità di Danno e Masito, che da pischelli sono diventati in breve tempo giovani uomini – forse perdendo gran parte della loro attitudine naif, ma tant’è – e la rivoluzione copernicana operata da IceOne sul lato produzioni. Fermo restando l’utilizzo massiccio di loop ossessivi, l’oscurità di Odio Pieno viene abbandonata per affacciarsi su un suono più epico, il funk filtrato sui 60 hertz lascia spazio a sonorità più elettroniche e a campionamenti gonfi di sintetizzatori: un esempio per tutti, l’utilizzo di un pezzo dei celeberrimi Stadio per la struttura della base di “Vita”, primo singolo e video (il secondo sarà “Il cielo su Roma”). Wolverine e DarthVader si faranno da parte, e prenderà corpo, nel passaggio all’età adulta, la metafora immanente dell’esistenza come un infinito incontro di pugilato contro le avversità, dove il palco (e il mondo) diventa un ring sul quale combattere senza esclusione di colpi, sino all’inevitabile verdetto finale; e non a caso, da quest’album in poi Danno assumerà in pianta stabile l’alias di “Jake la Motta”.

Con “Scienza Doppia H” si interrompe il sodalizio con IceOne, che andrà a dedicarsi ad un personale progettoelectrosotto il nome di Dj Sensei; il suo posto alle ruote d’acciaio verrà preso così da Dj Baro. Gli anni successivi vedono il gruppo sempre in prima linea per quanto riguarda le collaborazioni con gli altri artisti e i live, con Danno che nel 2004 arriverà in finale alla prima edizione dello storico contest di freestyle chiamato 2 The Beat, consolidando definitivamente (se mai ce ne fosse stato il bisogno) il suo status di MC da palcoscenico: ma per avere fra le mani un nuovo album occorrerà aspettare l’inizio del 2007.
Lungamente atteso, e anticipato un anno e mezzo prima dall’EP “Più forte delle bombe”, “Anima e Ghiaccio” è il ritorno sul campo di un’istituzione, con un disco totalmente autoprodotto che esce proprio quando le major incominciano a fare a gara per scritturare i rappers più affermati della scena italiana. E, alla faccia delle multinazionali, il disco parte ancora più duro dei precedenti: il suono disturbante di “Ghetto Chic” fa capire a tutti che col Colle c’è ancora poco da scherzare.
L’eterna antitesi fra il fuoco dell’anima e il ghiaccio arido del mondo che ci circonda, la disillusione e la resistenza (“Hai pagato per il sole e t’hanno dato solo temporali”), tensione palpabile e occhi mai così aperti, un rap vero e adulto nel momento in cui il genere rischia di diventare sempre più una faccenda ad uso e consumo di una generazione di adolescenti viziati. Diciotto tracce dense come sangue coagulato, anche se lo zenit dell’opera, a ragion veduta, si raggiunge nel momento in cui il lettore si ferma sull’anthem definitivo, ovvero quella “La Fenice”, che vede la collaborazione dell’altrettanto immortale Kaos - con il quale, a proposito, i tre romani hanno formato il super gruppo Good Old Boys, per ora in attività solo nelle esibizioni dal vivo insieme a Dj Craim.

La discografia del Colle per ora finisce qua (possiamo anche aggiungervi il concept cyberpunk di “ArtificialKid” del 2009, dove i testi distopici di Danno incontrano i beats futuristici di StabbBoy), ma, come ormai abbiamo imparato, certe passioni sono dure a morire: il giorno del solstizio d’estate del 2013 viene diffuso su Youtube il video di “Sergio Leone”, dove il più classico del western incontra il più classico dell’hip hop-rock memore dei Beastie Boys. Siamo ancora in attesa dell’album, ma d’altronde abbiamo tutta la pazienza del mondo, perché il Colle Der Fomento, la nostra pazienza, l’ha sempre ripagata fino all’ultima goccia.

Jack Sparra

ARTICOLO TRATTO DAL NUMERO 14 - LUGLIO 2015

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