Suburbia

DI MARCELLA MUGLIA

Produci – consuma – crepa: questo il modello (ossessivo compulsivo) di sviluppo occidentale, dove il consumismo e la competizione regnano in una società schizofrenica che crea nemici dietro ogni angolo, e spinge le persone ad avere più oggetti che affetti.



C’è però chi non si arrende e prova a cercare un alternativa di vita, in alcuni casi rifiutando radicalmente le dinamiche di una società malata.

È il caso di Raphael Fellmer, trentunenne berlinese, che nel 2010 ha sperimentato un giro del mondo senza soldi, e mentre attraversava l’Atlantico, consapevole dell’esperimento riuscito, ha deciso di proseguire senza denaro la sua vita a Berlino.
Raphael non paga l’affitto: tecnicamente vive come ospite nel seminterrato di una villetta a Brandeburgo, insieme alla compagna e alla figlia, ma in pratica “paga” l’ospitalità con dei lavori domestici e di giardinaggio... e lo scambio è fatto!
Non ha un conto corrente, si sposta a piedi, e i vestiti riesce a procurarli di seconda mano; mentre per le spese mediche della figlioletta utilizza i 150 euro che il governo garantisce ai nuovi nati; per tutto il resto, il suo stile di vita si regge sul principio della condivisione e dello scambio.
Inizialmente riusciva a procurarsi il cibo necessario dai cassonetti, trovando alimenti completamente integri, poi, nel giro di un paio d’anni organizza una raccolta sistematica del cibo buono altrimenti destinato alla spazzatura.

Così nel 2012 prende forma l’idea del Food Sharing che significa condivisione alimentare: qui, attraverso il passa parola, alcune famiglie mettono a disposizione il loro cibo in eccesso ad altre famiglie. La gestione del cibo è seguita dai ragazzi che insieme a Raphael offrono il loro contribuito gratuitamente, non gira denaro insomma, solo alimenti recuperati dai supermercati, dai commercianti locali e da chiunque li voglia offrire; tutto il materiale converge in determinati centri di raccolta da cui poi viene ridistribuito.
Per riuscire a gestire tutte le offerte e le richieste di cibo è stata creata una piattaforma web (www.foodsharing.de) a cui hanno collaborato programmatori, designer, traduttori e avvocati che hanno offerto gratuitamente il proprio lavoro a sostegno del progetto di Raphael.
Al momento il sito conta quasi 900.000 kg di cibo salvati dalla spazzatura; quasi 10.000 foodsaver, volontari che collaborano per salvare il cibo;
300 ambasciatori che coordinano i volontari nelle rispettive regioni e città; e un team di 30 persone che ha il compito di gestire tutta l’organizzazione (di cui Raphael è il fondatore).
Sulla piattaforma web è possibile trovare tutti i generi alimentari: riso, pasta, caffè, marmellate, formaggi, birra, vino, alimenti per bambini, frutta e verdura...
Il meccanismo è semplice, basta iscriversi al portale, inserire il nome di quegli alimenti che non si riesce a consumare (anche solo un cavolo o quattro arance) e il luogo di incontro che può essere la propria casa o un particolare centro di raccolta.
Ogni offerta alimentare indica la città, la tipologia e la quantità del cibo, la data di scadenza e la data in cui i prodotti possono essere ritirati. Per alimenti quali carne fresca, uova, latte e latticini il portale chiede a tutti gli iscritti il rispetto di precise norme igienico-sanitarie e di conservazione.

Il principio che sta alla base del Food Sharing è quello di condividere e spartire il cibo in eccedenza evitando così di doverlo gettare nella spazzatura.
Non si rivolge solo ai singoli cittadini ma anche alle grosse aziende alimentari, ai produttori, alle attività di ristorazione, e non è solo per i più bisognosi ma per tutti... perché vuole diffondere un nuovo modello sociale che limiti lo spreco di risorse e la produzione di rifiuti.

In questo senso è interessante vedere il documentario “Taste the Waste”, prodotto nel 2010 dal tedesco Valentin Thurn (anche lui è nel team come presidente della Food Sharing Association) che descrive il fenomeno dei rifiuti alimentari. Ne viene fuori che un po’ tutti siamo coinvolti in questo marasma: i grossi produttori e i distributori, che perdono enormi quantità di cibo nei percorsi tra la produzione e la vendita diretta, e anche i singoli cittadini, che nel loro piccolo rifiutano quei prodotti un po’ ammaccati, e che non sono “esteticamente bellissimi”.
Ma, fa notare Thurn, sprecare e perdere tonnellate di cibo significa anche contribuire all’effetto serra (per via dei fertilizzanti e dell’energia usata nelle coltivazioni in eccesso);
Inoltre i rifiuti di materiale organico producono metano (altamente inquinante per l’ambiente) che si disperde nell’atmosfera.
In ogni caso, i fatti sono imbarazzanti: gettiamo via circa un terzo di ciò che produciamo, e se pensiamo al problema mai risolto della fame nel mondo, arriviamo facilmente alla conseguenza che forse tutti siamo coinvolti, non solo i governi o le multinazionali che ci sguazzano con i loro interessi.
Comunque i volontari del Food Sharing non si limitano al risparmio degli alimenti: la condivisione e lo scambio sono la base del loro stile di vita, ed è su questi principi che Raphael e altri - prima e dopo di lui – hanno scelto di vivere senza denaro.
Le società occidentali si reggono sul consumismo sfrenato, i consumi sono il motore dell’economia e del benessere della società stessa, e non ci si accontenta di avere una casa, una macchina, un PC, un telefono, un orologio... si deve sempre avere di più, accumulare accumulare e accumulare, solo così si riesce a sentirsi vivi e parte di questa società: PRODUCENDO – CONSUMANDO - CREPANDO

MARCELLA MUGLIA

ARTICOLO TRATTO DAL NUMERO 13 - FEBBRAIO 2015

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