Interviste

di Francesca Buffoni

Il Teatro degli Orrori: dodici anni di carriera, quattro album all'attivo, centinaia di palchi alle spalle.



Ora all'apice nel panorama alternative rock italiano.
Poche presentazioni, non ne hanno bisogno.
Abbiamo intercettato Pierpaolo Capovilla, Gionata Mirai e Kole Laca poco prima di un concerto. Via con le danze.

Parliamo dell'ultimo album omonimo, in che senso è un ritorno alle origini?

Possiamo ritenere che sia un po' un ritorno alle origini a livello di approccio; abbiamo cercato di creare un'evoluzione del Teatro degli Orrori ripartendo dal feeling che ha mosso il primo disco con l'aggiunta dei nuovi elementi (Kole Laca/tastiere e Marcello Batelli/chitarra) entrati nella band. È stato come rinverginirsi su tante cose, si è ritrovata sia a livello compositivo che a livello di ricerca dell'impatto sonoro una freschezza che assomiglia a quella del primo disco.


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Questo a livello compositivo, invece a livello di contenuti?

A livello di contenuti questo è un disco con un vocabolario più urbano, più vicino alla gente e racconta molta più attualità. Mentre negli altri dischi c'è un'attenzione poetica diversa. I nostri esordi sono stati dal punto di vista narrativo più allegorici, metaforici e marcati da uno spirito più letterario.


Quindi diciamo che questo album è anche un po' una discesa agli inferi antropologici, quanto di politico c'è nella vostra missione di band?

Fare musica leggera - anche se quella che facciamo non è musica leggera - può essere scrivibile in questa macro categoria che ha una certa diffusione. Non siamo un gruppo così blasonato, la nostra musica viene ascoltata sopratutto dai più giovani e quindi dobbiamo essere consapevoli delle scelte che facciamo in senso politico all'interno della società in cui viviamo. Quindi, canzone per canzone, disco per disco, dobbiamo dire qualcosa alle persone. Dobbiamo essere in grado di saper individuare e osservare le contraddizioni della comunità in cui viviamo, e se non riuscissimo a fare questo allora non si creerebbe narrazione e non comunicheremmo niente.
Noi parliamo della vita della gente, io non parlo dei cazzi miei, io parlo dei cazzi vostri perché spesso le canzoni le traggo da episodi di cronaca nera. La cronaca nera è sempre molto interessante. Il teatro degli orrori è tra le altre cose una definizione giornalistica... quando in un condominio gettano i bambini fuori dalla finestra accade un teatro degli orrori! Quindi raccontiamo la società in cui viviamo rapportandola alla vita delle persone. C'è una bella differenza tra il fare musica con una coscienza civile e fare musica tanto per fare intrattenimento e costume.

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In questo album quindi c'è uno sguardo più attento alla società odierna?

Anche più di prima.
Il Mondo Nuovo era un disco a tema in termini di concept album e la figura centrale narrata era quella del migrante. Anche lì c'era tanta società, ma ora abbiamo fatto un disco che parla dell'oggi, come nel brano Disinteressati e Indifferenti o Lavorare Stanca, che è stato interpretato in più modi e a riguardo una volta un signore di una certa età aveva scritto su Facebook che non era mica giusto parlare così del lavoro. Aveva scritto: il lavoro è una cosa degna. Ma è ovvio che il lavoro rende degna la vita di una persona e che la disoccupazione ti spinge ai margini, però è anche vero che lavoriamo troppo e questo ci mette l'uno contro l'altro. Pensiamo al Jobs Act, che spinge la gente verso una guerra tra i poveri. Ritorniamo tranquillamente al discorso del feticismo delle merci e del lavoratore schiavo dei suoi stessi bisogni.


Certo, della materia!

Sì infatti, e ritorniamo proprio alla teoria Marxiana. Marx aveva saputo individuare le leggi fondamentali del capitalismo e noi viviamo in una società capitalistica: lupo mangia lupo.
Sarebbe meglio cooperare, provare a darci un obiettivo da raggiungere insieme, si chiama socialismo, no? Penso che ci siamo proprio dimenticati dei valori socialisti novecenteschi, ci siamo dimenticati dei nostri grandi: di Gramsci, di Berlinguer e siamo naufraghi in un sempiterno presente senza bussola, senza una meta, senza futuro.


Il brano Slint parla di una questione a voi piuttosto cara: la contenzione meccanica e il Trattamento Sanitario Obbligatorio. Possiamo collegarci ad Artaud, all'ideologia psichiatrica del ‘900. Cosa mi dite a riguardo?

Antonin Artaud è stata forse la più grande vittima sacrificale dell'ideologia psichiatrica novecentesca ma il T.S.O. è una cosa che succede adesso ed è un retaggio di quella ideologia. Noi in Italia abbiamo la legge 180 (13 maggio 1978, ndr), la cosiddetta legge Basaglia che abolì i manicomi una volta per tutte ma fu lo stesso Basaglia che una volta promulgata la legge mise in guardia l'opinione pubblica e i legislatori sul fatto che i manicomi si sarebbero in un modo o nell'altro ripresentati.
Oggi abbiamo i cosiddetti S.P.D.C.: Servizi Psichiatrici di Diagnosi e Cura. Ce ne sono trecentoventi in Italia, di cui trenta sono restreint (porte chiuse): si lega la gente e la si seda con gli psicofarmaci; venti sono no - restreint (porte aperte): non si lega nessuno.
Ecco, noi in quest'ultimo disco lo abbiamo proprio scritto: aderiamo alla campagna per l'abolizione della contenzione meccanica promossa dal Forum Salute Mentale. È una questione che ci riguarda tutti e riguarda la dignità delle persone in carne e ossa e i diritti costituzionali dei cittadini.
Il T.S.O. è diventato un sequestro di persona. Non è, come vuole la legge 180, un evento indotto e dovuto da circostanze straordinarie quindi rare. Lo si esercita troppo spesso in Italia e molto spesso, dico io, lo si fa al posto dell'arresto. C'è un uso obliquo e periglioso del T.S.O. e anche una certa confusione di ruoli nello Stato.


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Una curiosità sull'origine del nome della band. Come avete scoperto il teatro e la poetica crudele di Antonin Artaud?

Beh, all'università a vent'anni, cara. Ho letto Il teatro e il suo doppio perché lo dovevo portare all'esame, in realtà lo lessi anche male e in fretta e l'esame non lo feci proprio. Però poi le cose ritornano. Ho scoperto cosa voleva dire il teatro della crudeltà e la differenza enorme tra il teatro di scena e il teatro di prosa.
Ecco, noi facciamo teatro di scena, dopotutto un concerto rock è pur sempre una rappresentazione teatrale, nel senso che quelle due ore che passiamo sul palco sono due ore di vita vissuta veramente, e non solo per noi ma anche per il pubblico che viene ad ascoltarci.


Quindi il doppio artaudiano (inteso come sforzo di riportare sulla scena anche la vita dell'inconscio, facendo della crudeltà scenica il mezzo per superare le barriere innalzate dalla ragione e innescare il meccanismo liberatorio) riuscite a esprimerlo totalmente in live?

Certamente! Per forza, quando salgo sul palcoscenico sono finalmente me stesso! È quando torno a casa che divento l'individuo abitudinario e sedentario di sempre. È quando te ne vai in ufficio o in fabbrica a menare il bullone dieci ore al giorno, o quando guardi la tv invece di fare l'amore o leggere un buon libro o ascoltare della buona musica che crepi piano piano, giorno per giorno. Sul palcoscenico si resuscita! Ma non è un illusione sai, un concerto del Teatro degli Orrori è un grido di speranza.

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Underground e scena indipendente: voi la supportate e ci siete dentro da anni (avete partecipato tra l'altro al progetto/compilation Il paese è reale promosso dagli Afterhours). Che visione avete del fenomeno dei talent show?

Noi supportiamo e sopportiamo la scena indipendente e non sopportiamo i talent.
Le due dimensioni sono inconciliabili.
Io non ho ancora visto emergere un artista da questi talent.
Il mio artista preferito in assoluto si chiama Scott Walker (classe 1943), lui inizialmente era un teen idol molto simile a questi ragazzi che diventano famosi all'improvviso; a quindici anni già provocava nei fan scene di isteria collettiva. Fondò anche la prima boyband di sempre, i Walker Brothers. Poi piano piano divenne qualcosa di diverso, si era capito da subito che era un grande coroner, secondo forse solo a Frank Sinatra, amato da Elvis per capirci. Lui però, partendo dalla dimensione mediatica del talent degli anni cinquanta, nel giro di qualche anno divenne uno dei più grandi artisti di sempre. E ora dico: voi avete mai visto uscire un artista vero da qualsiasi talent da quando esistono i talent? Io no! Sono soltanto ugole, delle ottime ugole, dei gran cantanti.


Questo è sacrosanto, ma è anche vero che alcuni grandi artisti hanno partecipato ai talent nel ruolo di giudici, un esempio è Morgan, ma non è il solo.

Dove vuoi arrivare? (ride ndr) Ti fermo subito, l'ultimo disco degli Afterhours è un gran disco, forse il loro migliore. Io auguro ogni bene a Manuel e gli auguro buon lavoro!


Grazie dallo staff di Underground Experiment per la disponibilità!

Grazie a voi!

Francesca Buffoni

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