Recensioni



Claver Gold e Murubutu – Infernvm / Album
Glory Hole Records/ 2020
Rap


Per il loro primo progetto insieme, due dei maggiori esponenti nazionali di un certo tipo di rap concreto e dai chiari intenti poetici hanno pensato di alzare l’asticella nel punto più profondo possibile: addirittura un concept album di riscrittura dell’Inferno dantesco. A quasi settecento anni dalla morte del Sommo, tocca a Murubutu e a Claver Gold andare per la perduta gente.

“In quale modo puniranno quei peccati miei?
Se bruciato dagli dei, condannato con i rei?”

In Minosse vengono prospettate le pene che verranno loro comminate, in una magistrale interpretazione della legge del contrappasso, ed è notevole il climax con il quale Murubutu arriva a immaginare una dannazione eterna a non poter più proferire verbo, proprio lui che dell’uso della parola ha fatto una ragione di vita. 
Non si fa in tempo a elaborare il fiume (Stige) di citazioni, riferimenti e costruzioni retoriche che si passa senza tregua a Paolo e Francesca, dove al ritornello ritroviamo un vecchio affiliato del rap italiano, quel Giuliano Palma, già Casino Royale, già The Bluebeaters, che benedice la traccia come ai tempi di Aspettando il Sole o di Piovono angeli con La Pina. E qui la linea melodica dell’album si allarga improvvisamente, considerato che i nostri Dante e Virgilio, per quanto ricerchino (dal Canto loro!) di infondere musicalità alle proprie strofe, e con buoni risultati, restano comunque più dei rappers a tutto tondo che professionisti dell’ibrido cantato/ritmato caratteristico delle nuove generazioni: viene da chiedersi che respiro avrebbe avuto il disco aprendo a qualche altra collaborazione negli hook.
Per fare un punto sulla coerenza interna del disco, possiamo considerare decisamente superiori gli episodi dove Murubutu e Claver Gold aggiungono un ulteriore livello alla creazione metaforica mettendo sul tavolo le proprie esperienze di vita terrena, piuttosto che alcuni resoconti pregevoli per composizione e ricerca ma in definitiva poco più che didascalici (vedi Ulisse e Caronte), anche se bisogna riconoscere a Claver Gold di riportare spesso il tutto su un piano più umano e meno letterario, in modo da spezzare l’accentuato accademismo del Vate suo.
In tutto questo elevarsi nel discendere, si trova anche lo spazio per un paio di frecciate, anzi, strali, all’edonismo, le cattive abitudini e l’ipocrisia di un certo rap contemporaneo in Malebranche.
Al termine del viaggio, nell’ottima Lucifero i BPM calano, il beat evolve in pura trap mentre il diavolo danza sui tavoli suonando viole distorte e chitarre pitchate, con i due rappers liberi di distendersi in una ballata ebbra da antica osteria per raccontare le gesta e le sofferenze dell’Angelo decaduto per antonomasia, menzione speciale per un Claver Gold davvero sugli scudi in termini di commistione tra flow e scrittura.
Il disco, che non potrà deludere gli affezionati a un rap di spessore (i guelfi dei contenuti?), rappresenta l’ideale zenit nel percorso artistico dei due mostri sacri del conscious rap italiano, l’ultima prova, lo scalino finale prima di salire a riveder, definitivamente, le stelle, e noi saremo qui ad attendere la prossima Cantica.

Jack Sparra










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