Interviste

Raige è ormai da tempo un nome noto nell'ambito dell'hip hop italiano, sia in quanto membro del gruppo torinese degli One Mic (insieme a Rayden e al proprio fratello Ensi, celebre per le sue doti nel freestyle), che come artista solista.



Lo abbiamo incontrato a Sassari, dove ha presentato il suo ultimo album, Addio, in un concerto impeccabile sotto tutti i punti di vista. Energia, capacità di attirare l'attenzione su di sé, affiatamento con Dj Taglierino – che lo accompagnava ai piatti -, e, soprattutto, tante canzoni che hanno fatto letteralmente sgolare il pubblico arrivato dall'intera isola.

Tiriamo un po' le somme: a sei mesi dall'uscita di Addio, sei contento dei riscontri che stai ottenendo?

Il cd è andato molto bene, molto più di quanto sperassi, per quanto riguarda le vendite, il numero di live e il feedback immediato che ricevo via internet. Con questo disco, che considero di transizione, penso di essermi portato avanti di un altro gradino rispetto al passato; spero di ottenere risultati ancora migliori con il prossimo album, a cui lavorerò nel 2013.


Chi ti ha seguito in questi anni si è accorto di come tu abbia progressivamente allargato le tue prospettive nel modo di fare musica, non limitandoti alla classica struttura del rap, ma arricchendo le tue canzoni di parti cantate e variazioni musicali.
Quali sono state le esigenze che ti hanno portato a questa evoluzione?

L'evoluzione sta alla base della vita dell'essere umano prima ancora che della musica, e lo stesso artista vive di evoluzione.
Io sono partito da un rap molto hardcore, quello che si ascoltava nella seconda metà dei '90, quando mi sono avvicinato al genere.
Il messaggio del rap non ha perso intensità nei miei confronti, per quanto sia convinto che esso sia cambiato totalmente rispetto al passato, ma con il passare del tempo io sono cambiato come individuo, e ho cercato di far crescere in primis me stesso, in secondo luogo la mia musica.
Sono passato da un disco come Tora-Ki (disco del 2006 in collaborazione con il produttore Zonta, ndA), col suo rap molto crudo, caratterizzato da un sacco di citazioni, esasperato anche nel flow, ad Addio, dove ci sono addirittura degli interventi suonati da musicisti veri e propri.
Così come nei testi mi sento di dire delle cose - a mio modestissimo parere - un po' più mature, l'includere delle parti suonate nelle canzoni contribuisce a dare maggiore credibilità alla mia musica. Ciò non significa che rinuncerò al rap, ma in questo momento della mia vita può capitarmi, magari, di tirare fuori un pezzo interamente "canticchiato", come può essere Mille volte ancora.
Ora come ora mi piace misurarmi con questo genere di cose.


Addio è un disco molto sentito, anche "sofferto", che va a scavare nel personale. Parlaci del concept dell'album.

Non puoi costruirti un futuro se non sai qual è il tuo passato, ma allo stesso tempo devi liberarti dei problemi che ti hanno afflitto in precedenza.
Addio rappresenta la mia volontà di salutare in maniera definitiva tutto ciò che mi portavo dietro, tutte quelle cose che erano ormai diventate un fardello. Un fardello che volevo assolutamente togliermi per essere in grado di andare avanti con maggiore serenità.


Tu affronti spesso l'argomento del lavoro, parlando delle tue esperienze personali. Che messaggio vuoi dare alla nostra generazione, da molti definita "perduta", da questo punto di vista?

Prima la musica per me era un hobby, remunerativo, sì, ma che si limitava a rappresentare solo una parte della mia giornata: otto ore le passavo regolarmente al lavoro. La mia musica si basa fortemente sulla sincerità, e ho reso partecipe il pubblico di quello che vivo.
Posso dire di aver lasciato il mio ultimo impiego - store manager di una multinazionale - per investire su me stesso.
Attenzione, non ho preso questa strada perché sono "arrivato"; sai, molti vedono i miei video e lasciano commenti del genere "ah, tu sì che ce l'hai fatta, cambi macchina ad ogni videoclip"! Ragazzi, le macchine per i video, o le affittiamo o ce le prestano! Nella vita reale guido una macchina scassata, ho aperto una partita IVA, faccio le fatture e mi pago i contributi.
Questo distacco dalla mia vita precedente ha quindi per me un grosso valore: l'aver avuto la possibilità di rendere la musica un lavoro rappresenta un'enorme soddisfazione, posso così anche giustificarci tutto il tempo che ci ho dedicato.


Di recente ci sono state delle polemiche in seno alla scena, sintetizzabili in uno scontro tra chi identifica il periodo d'oro del rap nazionale nella fine degli anni novanta, e in chi pensa che la vera Golden Age sia questa. Al di là delle diatribe, cosa ne pensi dell'attuale momento dell'hip hop in Italia?

Secondo me è un momento ottimo, siamo indubbiamente il genere numero uno per diffusione e appassionati.
Quando ho iniziato, andavo a scuola vestito oversize e venivo preso per il culo.
Ora, se giro in una città qualunque, non vedo altro che ragazzini con i New Era. Certo, possiamo aprire mille dibattiti sul fatto che molti di questi ragazzi non abbiano una profonda conoscenza della cultura hip hop e delle sue origini.
Quello che serviva veramente a noi artisti hip hop, però, era dimostrare al mercato musicale del nostro paese che siamo un genere vero, da rispettare.
E dico che ci siamo riusciti: nel 2012 tre album di rap italiano hanno conquistato il disco d'oro. Sta a noi adesso educare gli ascoltatori.
Alcuni si fermeranno chiaramente alla superficie, altri, e vi assicuro che ce ne saranno, saranno capaci di tornare indietro, di dire "questa roba mi piace, da dove viene?". Se il rap davvero attecchisce nel nostro tessuto sociale, i figli degli attuali adolescenti ascolteranno rap fin da piccoli, come accade da tempo in Francia - per non citare sempre gli USA - e in futuro avremo un movimento fortissimo.
La forza di questo genere, del resto, è che parla in maniera schietta e forte alle nuove generazioni: i cantautori italiani hanno perso forza nei loro confronti, e noi diciamo le cose come stanno. Abbiamo rappers che fanno presa sui ragazzi più giovani perché hanno un messaggio che a questi ragazzi arriva forte e chiaro, ed è un messaggio che per questi ragazzi è importante. Poi possiamo parlare per ore di come questi rappers dovrebbero chiudere le rime o impostare le metriche, ma che ci piaccia o meno, il loro rap arriva a segno, ed è fatto come Dio comanda.

Jack Sparra

ARTICOLO TRATTO DAL NUMERO 9 - GENNAIO 2013

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