Interviste

DI NIKE GAGLIARDI

IOSONOUNCANE, tra gli artisti indipendenti più interessanti del panorama musicale italiano...



Iosonouncane, al secolo Jacopo Incani, col suo primo album La Macarena su Roma (La Famosa Etichetta trovarobato, 2010) ha affidato un ritratto spietato dell'Italia di oggi al felice sodalizio tra elettronica e cantautorato, collocandosi immediatamente tra gli artisti indipendenti più interessanti del panorama musicale italiano. A quasi cinque anni di distanza Iosonouncane torna a far parlare di sé con l'album DIE (La Famosa Etichetta trovarobato, 2015), una suite composta da sei "quadri sonori" che ha portato in giro su e giù per l'Italia con il Mandria Tour, concluso proprio pochi giorni fa. Prima di tornare in studio ha rilasciato insieme ai Verdena uno split in vinile già sold out dove l'artista di Buggerru e la band bergamasca “si scambiano” due pezzi a testa, tratti dai rispettivi ultimi album.


Ciao Jacopo, puoi raccontarci qualcosa sull’evoluzione di DIE dalle prime bozze dei brani alla loro forma definitiva? Che ruolo ha avuto la collaborazione con Bruno Germano?

Sai com’è... nel 2012 avevo già accumulato tante bozze per il disco ma avevo un grande bisogno di nuovi strumenti tecnici per ottenere i suoni che avevo in mente. Per questa ragione mi sono rivolto a Bruno Germano proponendogli una collaborazione. Per far nascere DIE nella sua forma definitiva io e Bruno siamo ripartiti da zero: abbiamo deciso di non utilizzare nessun tipo di preset o di suono campionato da altri trascorrendo invece un mese in studio a registrare la nostra tavolozza di suoni. Ripartendo da lì abbiamo ricostruito ogni brano lavorando di sottrazione ma senza intaccare la complessità delle trame sonore. È stato un lavoro lunghissimo, ampiamente ripagato dalla soddisfazione di aver ottenuto con esattezza il disco che desideravo. Bruno è stato fondamentale, ci siamo completati a vicenda.


DIE e La macarena su Roma appaiono molto distanti a un primo ascolto, ma l'individuo appare sempre schiacciato da un “paesaggio sonoro” onnipresente. Ci sono altri punti di contatto tra i due album?

C'è sicuramente una continuità tra i due dischi e risiede proprio nella costruzione di uno scenario su cui si stagliano le vicende raccontate. Questo scenario ne La Macarena su Roma era affidato quasi esclusivamente alle parole, mentre in DIE è soprattutto la musica a definire lo scorcio su cui si muovono i protagonisti. Un ulteriore fil rouge, forse il più importante, consiste nel tema di fondo: la morte, ciò di cui parlo da sempre. Ogni canzone de La Macarena su Roma parla di morte e posso dire la stessa cosa per quel che riguarda DIE. Quando parlo di morte non la intendo però come uno spauracchio o come semplice fine dell'esistenza terrena ma come qualcosa di più profondo, qualcosa di atavico con cui da sempre ci confrontiamo.


Ci sono delle opere letterarie e degli ascolti che hanno lasciato un’impronta su DIE?

Quando stavo lavorando alle prime bozze di DIE avevo la sensazione che si trattasse sempre della stessa struttura melodica. M’ingannava in questo il fatto che, sin dal principio, le parole e le immagini che avevo concepito ritornavano ciclicamente. Venivo da un disco narrativo e verboso e sapevo di voler costruire qualcosa di completamente diverso: per farlo mi sono affidato a letture scelte sulla base di ragioni sentimentali e di analogie tematiche e lessicali con i testi per come stavano prendendo forma. Così ho ripreso in mano gli autori sardi: Giuseppe Dessì, i due Satta, Gavino Ledda e Grazia Deledda. Di grande ispirazione è stata poi la frequentazione assidua del ciclo di poesie La terra e la morte di Pavese. Un altro autore che mi ha influenzato molto è Manlio Massole, poeta ed ex-professore di Buggerru che decise di conoscere la realtà delle miniere più da vicino andandoci a lavorare. Ho riletto poi Il vecchio e il mare di Hemingway, Germinale di Émile Zola, Lo straniero di Albert Camus, Furore di John Steinbeck: opere permeate di solitudine ma anche di grande vitalismo, e autori che utilizzavano un lessico paesaggistico. Rileggevo ogni notte gli appunti presi da questi libri, concentrandomi su una particolare parola o sull'uso di un aggettivo. Per quel che riguarda le influenze musicali, durante il lungo percorso che ha portato a DIE non ho ascoltato praticamente nulla di nuovo: il mio metodo si basava infatti sull'ascolto compulsivo delle tracce a cui stavo lavorando e sul raggiungimento del non facile obiettivo di farle corrispondere il più precisamente possibile a ciò che avevo in mente.
Nei momenti distensivi ho ascoltato le cose che amo da sempre, Pet Sounds dei Beach Boys, l’enorme Rock Bottom di Wyatt.


Quanto ha influito il luogo in cui sei nato e cresciuto sulla prospettiva del reale che proponi nei tuoi dischi?

Essendo cresciuto a Buggerru e quindi letteralmente col mare davanti, e provenendo da una famiglia di pescatori, il mare mi ha influenzato moltissimo. Ha dato forma al mio immaginario, ha definito il mio rapporto sentimentale con la vita, il mio concetto di morte, di attesa, di assenza. Il lessico e le immagini che uso provengono dal luogo in cui sono nato e che ha determinato il mio rapporto istintivo col mondo: anche quando parlo delle periferie di grossi agglomerati urbani uso un vocabolario che deriva in primo luogo dall’isola. Da lì procedo per cercare di giungere a una forma assoluta, a un'astrazione “tangibile”, universale.


Ci sono degli artisti di cui stai seguendo il lavoro e con cui ti piacerebbe lavorare in futuro?

Con i Verdena! E lavorerò al prossimo disco di Dino Fumaretto, un artista che mi piace molto, moltissimo.

Nike Gagliardi

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